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Siamo andati a trovare Filippo Dattilo Chiappini, chef e titolare dell’Antica Osteria del Teatro, ristorante che dal centro di Piacenza propone un’interessante interpretazione di haute cuisine radicata nel territorio enogastronomico piacentino. Com’è nostra consuetudine abbiamo voluto parlare di vino e di vini piacentini in primis, ma non sono mancate le divagazioni e le riflessioni, le storie e le memorie. Iniziamo.
Puoi raccontarci la tua storia? Come e perché sei arrivato alla ristorazione?
I miei studi mi avrebbero portato lontano dalle cucine, infatti ho studiato ingegneria, ma in famiglia sono cresciuto circondato da una grande cultura per la cucina. Mi dicevano che la cucina si compone di tre elementi, il cibo, il vino e l’ambiente, un trinomio che ancora oggi tengo come punto di riferimento. Già a casa mi dilettavo di cucina e provavo a creare piatti, ma a un certo punto ho dovuto decidere cosa fare da grande e sono partito per la Francia dove ero conosciuto come figlio di un grand gourmet e alcuni dei più importanti ristoranti francesi mi hanno aperto le porte. Mi sono fermato tre anni e qui ho imparato che la base della cucina è la materia prima, a questo si aggiungono la tecnica e la creatività ma sempre con rispetto verso la cucina tradizionale. A Piacenza conoscevo dall’infanzia Georges Cogny, è lui che ha fatto scattare in me la scintilla. Quando sono tornato dalla Francia il suo socio dell’Osteria del Teatro, Ilari, mi ha proposto di proporre la mia cucina qui all’Osteria del Teatro per una settimana per portare una ventata di novità. Ed è così che nel 1985 ho affiancato Ilari nella gestione del ristorante e che dal 1990 sono qui da solo.
Quanto incide il territorio sulla tua cucina?
La cultura del territorio incide moltissimo: ciascuno di noi ha le proprie radici che lo legano ad una terra. Io ricordo i profumi di un tempo e gli ingredienti che venivano usati in cucina hanno lasciato in me un segno profondo: il bollito della domenica ad esempio… potevo perdere il senso del tempo, non sapere più che giorno fosse, ma quando svegliandomi sentivo il profumo del bollito sapevo che era domenica. O il profumo delle mele d’inverno che mia nonna metteva via… sono cose che ti segnano quando sei bambino e creano il tuo attaccamento alla terra. In cantina ho 1200 vini, ma se qualcuno chiede un consiglio suggerisco vini dei colli piacentini. In cucina è più difficile usare ingredienti “tipici” ma con i vini cerchiamo di farlo. L’unione fa la forza e dobbiamo sforzarci di portare avanti questi discorsi insieme per valorizzare il nostro territorio.
Che ruolo ha il vino nel tuo lavoro di chef?
Uno chef deve essere preparato anche in campo enologico: se conosco il bicchiere che sto bevendo so che piatto preparare. Non si possono scindere il piatto e il vino. Il vino è fatto per essere bevuto a tavola e posso apprezzarlo non solo per il suo sapore, ma anche per la sua storia: bisogna conoscerla per capire un vino in modo divreso, più profondo.
Come giudichi i vini piacentini?
Grazie all’impegno di aziende che lavorano con passione, ricerca e con un confronto continuo con l’esterno si stanno valorizzando sempre più il vino e il territorio piacentino. Il confronto è importante in tutti i campi, anche in questo: con il confronto si migliora. Le aziende vitivinicole leader del piacentino stanno portando avanti questo discorso da diversi anni e ora chi si è confrontato sta raccogliendo. E così si scopre che anche dalla nostra terra si possono fare uscire cose buone. Magari qui è più difficile che in Piemonte, ma si può fare. Io sono soddisfatto dei nostri vini e mi fa piacere parlare della nostra cultura enologica, la mentalità sta cambiando; non potremo mai fare concorrenza ai grandi vini francesi ma abbiamo fatto enormi passi avanti. Di fronte ai vini piacentini la risposta da parte della clientela, ma anche di sommelier e ristoratori internazionali, è eccezionale: molti restano a bocca aperta per la qualità dei vini.
Io credo che si debba distinguere tra un vino da tutti i giorni e un vino da grandi occasioni, un vino a cui pensare. Occorrono entrambi: nelle grandi occasioni si può aprire un vino che non deve necessariamente costare poco: dietro c’i sono un grande lavoro e sacrifici, ma anche una storia da valorizzare.
A proposito di storia: i vini piacentini come evolvono nel tempo?
La longevità di un vino è una caratteristica importante e anche i vini piacentini rispettano questa “regola”: un buon vino dura e cambia nel tempo. Abbiamo nascosto in cantina ad esempio dei Sauvignon de La Tosa e li abbiamo visti addirittura migliorare nel tempo. In questa scoperta dell’evoluzione del vino anche noi ristoratori giochiamo – o possiamo giocare – un importante ruolo educativo ad esempio proponendo il bicchiere giusto: con il bicchiere giusto il vino cambia!
Lasciamo Filippo con ancora tante domande da porgli e tante storie da ascoltare, ma avremo altre occasioni… per ora un invito a venire a Piacenza a conoscere questo bellissimo posto e la cucina dello chef Filippo, non ve ne pentirete! Per chi vuole maggiori informazioni può visitare il sito www.anticaosteriadelteatro.it (http://www NULL.anticaosteriadelteatro NULL.it/)