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Il paradosso dei vini frizzanti, incontro con Stefano Testa | vinipiacentini

Il paradosso dei vini frizzanti. Conversazione con l’enologo Stefano Testa


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I vini frizzanti bevuti in annata sono il prodotto trainante della vitivinicoltura piacentina: vini bianchi come l’ortrugo e la malvasia, ma anche vini rossi come il Gutturnio, il Barbera e la Bonarda. Di vini frizzanti si parla spesso come vini di serie B rispetto ai vini fermi strutturati, ma noi non crediamo a questa categorizzazione, così siamo andati a parlare di vino frizzante con Stefano Testa, giovane enologo che lavora come consulente presso diverse aziende vitivinicole piacentine (tra cui Castello di Luzzano, Lusenti, Tenuta Pernice, Baraccone, Bonelli) conosciute per la qualità dei vini prodotti e persona che si occupa con ottimi risultati sia della vinificazione di vini frizzanti che di vini fermi e strutturati. Nel corso della nostra conversazione abbiamo scoperto un grande paradosso: per ottenere vini frizzanti di qualità il lavoro è più impegnativo, occorre un’eccellente materia prima e soprattutto un grande investimento in tecnologia, ma andiamo per gradi e andiamo a leggere cosa dice Stefano Testa.

“Per i vini piacentini bisogna lavorare in vigna, producendo meno per avere vini più caratterizzati. Per me l’uva è la materia prima quindi per me non è possibile lavorare modificando il vino e nelle cantine piccole hai l’arma del vigneto per fare buone cose, nelle cantine piccole (o relativamente piccole) puoi gestire e interagire con il processo produttivo dal vigneto alla cantina.

In cantina il lavoro da fare, secondo me, è quello di assaggiare costantemente i vini per capire cosa sta succedendo e prevenire l’azione di fenomeni che possono rovinare il vino. In genere i vini giovani che vengono imbottigliati in primavera hanno meno problemi, ma bisogna ugualmente prestarvi attenzione perché per me sono molto importanti la pulizia dei profumi e la consistenza del vino, soprattutto nei rossi dove si sentono di più i difetti.”

Che lavoro propone di fare in vigna?
Barbera e Bonarda hanno un problema di maturazione: se non raggiungono naturalmente i 13° non maturano i polifenoli. In viticoltura bisogna portare queste uve ai 13° ed è difficile perché il consumatore cerca vini più semplici ma queste uve ne hanno bisogno. Dipende certamente dal tempo (metereologico) ma anche dalle rese. Stesso discorso può essere fatto per la Malvasia, che secondo me è un grandissimo vitigno, qui abbiamo un problema di profumi e di finezza: se l’uva è trattata bene è un vero vitigno di valore internazionale, ma bisogna ridurre le rese e lavorare benissimo in vigna.

Nella tradizione piacentina i vini frizzanti compiono la rifermentazione in bottiglia ma oggi sono sempre più diffuse le autoclavi per la rifermentazione dei vini frizzanti. Lei cosa ne pensa?
Bisogna premettere che i vini a rifermentazione naturale sono più integri rispetto ai vini a rifermentazione in autoclave: quando fai rifermentare un vino in autoclave devi filtrarlo 2 o 3 volte prima dell’imbottigliamento quindi viene impoverito e perderà prima le proprie caratteristiche. Ma nonostante questo io sono favorevole all’utilizzo dell’autoclave: i vini frizzanti sono vini da uso quotidiano e in genere si accompagnano ai pasti, bisogna offrire piacevolezza al consumatore, non potenza e corposità. Anche il discorso dell’integrità viene secondo me superato da ragioni pratiche, o commerciali, che hanno quasi fatto scomparire il vino frizzante naturale. Mi spiego meglio: il vino frizzante a rifermentazione naturale è il migliore, ma non è adatto all’uso che se ne fa oggi, quindi le scelte nella vinificazione vanno fatte sapendo che andrà in autoclave.

Cosa pensa dell’utilizzo dei lieviti? Meglio selezionati o indigeni?
Il lievito indigeno non è un tabù ma pone diversi problemi di gestione in cantina. Il lievito indigeno viene usato nelle fermentazioni, sulle rifermentazioni invece è rischioso. Io sono per un uso moderno dei lieviti in rifermentazione: per me la pulizia dei profumi nel vino frizzante è importante: l’anidride carbonica esalta i profumi nel bene e nel male. Per fare un buon vino frizzante l’ideale è l’utilizzo della tecnologia del freddo. E’ il mercato che ha portato verso questi vini in cui è comunque richiesta una qualità elevata.

Quindi un investimento economico forte per la tecnologia in cantina a fronte di un vino che il mercato chiede di prezzo contenuto? Non è paradossale?
Certo è un grande investimento, ma è inevitabile e il piccolo produttore spesso si avvale del lavoro del rifermentatore. Quanto al prezzo… è un paradosso, ma il prezzo lo fa il mercato… I vini frizzanti piacentini partono da una buona materia prima e quando un vino frizzante è fatto bene è davvero buono. Il problema della diffusione dei vini frizzanti consiste nella loro conoscenza, sono ancora vittima di grandi pregiudizi.

Le piace di più fare i vini frizzanti o i vini fermi?
Tecnologicamente parlando mi piace di più fare vini frizzanti: puoi metterci del tuo per migliorare e mantenere le caratteristiche di integrità. Ma sui vini fermi c’è più poesia e quindi li preferisco.

Ringraziamo Stefano Testa e portiamo a casa alcune belle riflessioni da elaborare su questi nostri vini frizzanti…